N. 8 il Sé della vita di Oggi in terapia.
Per svariati
anni sono stata una cliente, o una paziente come dicono la maggior parte dei miei
colleghi psicoterapeuti. Andavo in terapia riponendo molte speranze. Arrivavo
con un bagaglio di cose da dire su cui avrei dovuto “lavorare”. Anche se
studiavo psicologia, e quindi avrei dovuto sapere che non era così, immaginavo
che il mio psicoterapeuta fosse depositario di qualche verità. Lui o lei, a
seconda del momento, mi avrebbe guidato fuori dai miei problemi e credevo si sarebbe
impegnato moltissimo per sopperire a tutte le mie mancanze attuali e passate,
per compensarle e per rendermi idonea alla vita al pari delle persone che
conoscevo. Mi accusavo di essere un osso duro, o “di coccio”, come dicono a
Roma, la città in cui vivo. Eppure, tutti gli sforzi di quei poveri psicologi
non bastavano a cambiarmi.
Avevo ben
presente come fosse una madre affettiva e normativa allo stesso tempo, però
come trasformare il genitore interno da negativo a positivo restava un mistero.
<<Ha
un Super Io persecutorio, rigido…>> mi sembrava di sentire gli
psicoanalisti commentare sullo stesso argomento…Winnicott invece mi carezzava
l’anima con l’evocazione della madre “sufficientemente” buona che attraverso i
suoi piccoli fallimenti e le sue tante riuscite poteva rafforzare il Sé del suo
bimbo, e vederlo crescere sereno e sicuro, capace di tollerare le normali
frustrazioni della vita.
Chi deve
curare i Sé insicuri e feriti di quegli adulti che hanno avuto madri (e padri) insufficientemente
buoni, quando non addirittura cattivi? Mi chiedevo perplessa.
Lo
psicoterapeuta può alla fine svolgere questa funzione? C’era chi diceva sì e
c’era chi diceva assolutamente no!
Non siamo SOLO
degli ex bambini, mi disse una volta un mio Super Supervisore. E io ci rimasi
leggermente male, come se da un cesto sospeso nel vuoto venissero fatti cadere
un mucchietto di neonati, portati via dal vento, spariti, tristemente, e io non
potessi farci niente. Cosa siamo allora se non degli ex bambini …degli ex
adolescenti e poi degli ex adulti quando diventiamo vecchi…Lui aveva
sicuramente detto non siamo SOLO degli ex bambini, me lo ricordo bene, ma io
non sapevo cosa immaginare di diverso, di nuovo. Ma la farfalla è SOLO un ex
bruco o no?
Da terapeuta
ho continuato a dibattermi tra questi dubbi, alternando maternalismo a
maieutica. <<Solo tu sai chi sei e cosa vuoi. Io, terapeuta, non posso
dire a te come essere felice>> (felice è da intendersi libero da dolori
che appaiono alla coscienza insensati e permanenti). <<Ti faccio vedere io,
terapeuta, com’è essere tenuto, accolto, rispettato così che tu possa sperimentare
per la prima volta un buon accudimento>>
La terapia prometteva
di apprendere cosa fosse soddisfare i bisogni antichi inespressi, chiudere
delle gestalt aperte, come dicono i gestaltisti, riparare vecchie ferite, come
se si viaggiasse nel tempo per tornare indietro…
La risposta
a tutte le mie domande è venuta piano piano grazie alla psicoterapia gestaltica
in gruppo. È stato lì che ho percepito nitidamente la trasformazione. Il mio
genitore interno negativo si riduceva sempre più mentre il mio genitore
positivo trovava forma e accoglienza. Ho cominciato a percepire le mie braccia
come morbide e forti, il mio ventre caldo e potente, il mio cuore ospitale. Chi
mi sceglieva per interpretare il ruolo di genitore positivo credendo di trovare
in me la cura per le sue profonde ferite, non sapeva che regalo mi stesse
facendo, che opportunità mi stesse dando. Interpretando il ruolo di una “madre”
positiva ho imparato che accogliere persone in lacrime, che in quel momento
erano tornate bambine, asciugare le loro lacrime, consolarle e amarle come
figli miei (o parti piccole di me), mi trasformava. Da inetta, vulnerabile,
ostile, insufficiente, bisognosa, ecc. ecc. mi incarnavo in un essere forte e
sinceramente affettuoso che altro non doveva fare che sentire profonda
compassione per chi si rifugiava nelle sue braccia. E questa compassione
generava una durevole metamorfosi…
È stato
grazie a Janina Fisher, alcuni anni dopo, che ho compreso il potere auto
curativo di quanto avevo vissuto nei miei gruppi di gestalt therapy: avevo sperimentato
il mio Sé della vita di oggi. Quando venivo chiamata a fare il genitore
buono prendevo coscienza dal di dentro del fatto che ne ero capace, che io ero
realmente così. Piuttosto che riconoscermi solo nelle mie angosce e nelle mie
debolezze, potevo vedere me stessa nella mia forza e nella mia positività. Quella ero IO, il Sé della vita di oggi,
quella adulta. Mentre quando mi sentivo ferita, vulnerabile, sofferente e
inetta, quella non ero io, ma una parte piccola di me. Questo avrebbe detto la
Fisher e questo avrei compreso meglio qualche anno più tardi studiando il suo
manuale. Nei gruppi mi percepivo capace e positiva e prendevo sicurezza in me
stessa, infatti, ero molto richiesta, ed era una sensazione bellissima mai
provata.
Nel suo
libro Janina Fisher dice che tutti, ma proprio tutti, hanno queste competenze,
anche se non ne sono consapevoli. Lei però, essendone fortemente convinta, non
fa che cercarle e riportarle alla coscienza dei suoi clienti.
Il terapeuta
aiuta il cliente a riattivare il Sé della vita di oggi attraverso varie
tecniche: il contatto con il proprio respiro, il mettersi seduti con la schiena
eretta, il percepire le reali dimensioni del corpo, la barba sul volto se uomo,
il seno se donna, per esempio, la robustezza della muscolatura o la grandezza
delle mani; l’invitare il cliente a ritornare con la memoria a quando si è
preso cura di un gattino abbandonato, oppure ha protetto un fratello minore, o ha
accolto un amico disperato.
All’inizio
il cliente può fare una certa resistenza ad ammettere di essere adulto e
autonomo, anzi di essere addirittura in grado di offrire il suo aiuto ad altri.
I clienti arrivano in terapia completamente identificati nel loro problema e
fusi nelle loro ferite. Chiedono al terapeuta di essere curati in qualsiasi
modo. Come dei bambini smarriti allungano le loro braccia verso colui che
dovrebbe salvarli. Il terapeuta invece detiene quella fiducia incrollabile
sulle abilità del cliente: “mai mi prenderei realmente cura di un uomo adulto,
o di una donna adulta come lei. Non voglio rafforzarle l’idea che ha di sé stesso,
cioè di essere ancora inerme e piccolo. Io so che ho davanti una persona grande
e grossa capace di badare a sé stessa e agli altri”.
Riconoscere
e indossare finalmente gli abiti del Sé della vita di oggi è il primo passo nella
Terapia e per la rigenitorializzazione…adesso so come si fa.